L’idea che perseguiamo di un’ “Architettura come corpo” è in palese e volontario contrasto con la metafora appartenente alla Modernità dell’Architettura come macchina, e contiene al suo interno l’essenzialità del linguaggio come strumento espressivo del “corpo parlante dell’architettura”.
Il Linguaggio in questo senso è la prerogativa, la “disposizione” ad abitare le cose e il mondo, e a trasformarlo, e fa in modo che quest’azione, questo contatto abbia un “senso”, un “significato”.
L’Architettura “significa”, e lo fa, come corpo parlante, attraverso il proprio linguaggio.
Riteniamo che in questo presente, in questa contemporaneità, l’idea di Architettura come corpo parlante (dialogante) si articoli secondo tre azioni-tematiche principali:
– l’Interazione (dialogo con contesto, storia, contemporaneità, forme d’arte o cultura) come oggetto del Linguaggio
– la Materia fisica, come strumento del Linguaggio nel rapporto con il mondo e le cose.
– il Mito, come elemento del Linguaggio di condivisione e connessione fra sentire individuale e sentire collettivo, fra ciò che è visibile e ciò che è invisibile (l’immaginabile, il potenziale, il nascosto, lo spirituale, l’anima, l’arcaico, il buio, l’infantile, l’”essenza invetriata”).
Il Linguaggio della contemporaneità affronta questi doveri e questi diritti: il diritto e il dovere all’Interazione; Il diritto e il dovere alla Materia; Il diritto e il dovere al Mito.
Il Linguaggio in Architettura utilizza le proprie regole, storiche, teoriche e pratiche, e le declina all’interno di questi diritti e doveri, dando un “senso” al costruire.
Gianluca Peluffo
Per 5+1AA SRL
aprile 2014-09-14
Riteniamo che in questo presente, in questa contemporaneità, l’idea di Architettura come corpo parlante (dialogante) si articoli secondo tre azioni-tematiche principali:
– l’Interazione (dialogo con contesto, storia, contemporaneità, forme d’arte o cultura) come oggetto del Linguaggio
– la Materia fisica, come strumento del Linguaggio nel rapporto con il mondo e le cose.
– il Mito, come elemento del Linguaggio di condivisione e connessione fra sentire individuale e sentire collettivo, fra ciò che è visibile e ciò che è invisibile (l’immaginabile, il potenziale, il nascosto, lo spirituale, l’anima, l’arcaico, il buio, l’infantile, l’”essenza invetriata”).
Il Linguaggio della contemporaneità affronta questi doveri e questi diritti:
il diritto e il dovere all’Interazione; Il diritto e il dovere alla Materia; Il diritto e il dovere al Mito.
Il Linguaggio in Architettura utilizza le proprie regole, storiche, teoriche e pratiche, e le declina all’interno di questi diritti e doveri, dando un “senso” al costruire.
L’Architettura del futuro prossimo sarà caratterizzata da uno “stralinguaggio” (1), oltre l’Eclettismo.
La devastante disponibilità d’immagini e d’informazioni del nostro presente ci ha reso ciechi, incapaci di vedere, e ignoranti, incapaci di capire e conoscere.
Non essendo più in grado di vedere e di conoscere, non siamo più in grado di progettare.
La speranza, a cavallo degli anni ’90 del secolo scorso e l’inizio del nuovo, che la rivoluzione tecnologica (digitale, della perdita di peso) fosse in grado di determinare un’architettura smaterializzata, attraverso un linguaggio proprio, è fallita: pensare che l’architettura potesse comportarsi e costruirsi come il design è stato il grande inganno culturale, politico ed economico di questi 30 anni di architettura.
Jean Nouvel, il più grande architetto di questa epoca, espresse la metafora del televisore che da grossa e pesante scatola diviene schermo immateriale, rappresentando perfettamente questa illusione. Negli stessi anni Wim Wenders ci portò per mano, ciechi, fra gli aborigeni, per parlare di tecnologia e futuro.
L’arte, ancora una volta, aveva ragione e guardava oltre. Vedeva. Lo intuimmo allora, lo vediamo oggi. Non esiste oggi una rivoluzione tecnologica capace di determinare un linguaggio architettonico. Non c’è un nuovo cemento armato.
E noi siamo fortunati. Non siamo, geneticamente, puritani, calvinisti e schiavi della tecnologia. Siamo padroni della Materia e della sua sensualità. Non siamo, geneticamente, portatori di un linguaggio unico. Le nostre città, i nostri paesaggi sono specifici, molteplici e conservano anime e corpi propri e dialoganti.
I non luoghi non esistono. Non sono mai esistiti. Esiste l’incapacità di vedere, di capire, di sentire. Esistono il conformismo e il cinismo di chi in questi anni ha spacciato droga culturale e intellettuale per servire forme di potere.
L’Architettura del futuro prossimo dovrà inventare e gestire uno stralinguaggio capace di reagire alle condizioni specifiche, funzionali, economiche, storiche e culturali, attuando una scelta e creando una sintesi di tutti i linguaggi possibili, differente in ogni condizione. A differenza dell’eclettismo, compirà uno straordinario sforzo sintetico, non di affiancamento di linguaggi. Non cercherà un equilibrio fra molteplicità affiancate, ma una sintesi complessa ed eccezionale creando un linguaggio nuovo e differente.
(1) Gianni Celati, intervista, a di Franco Marcoaldi “La Storia vale se sfugge dalle mani” La Repubblica, 13 agosto 2014 “In direzione ostinata e contraria”
Gianluca Peluffo
Dicembre 2016