“…Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica.”
(Aristotele, Metafisica, trad. di Giovanni Reale).
E giunse il tempo dei miti.
Legato al concetto di meraviglia e conoscenza, e ancora prima all’idea dell’arte come conoscenza e rivelazione, il mito è individuale e collettivo.
E’ il meccanismo che rende possibile il chiasmo (la connessione), e la catarsi fra pensiero, sentimento individuale e pensiero, sentimento collettivo.
Il mito è nella natura (il paesaggio, l’albero, il buio, la luce, il mare, il fiume, il lago, la vite, il sentiero, la radura…..), è nell’archetipo dell’architettura (la capanna, la tenda, la casa, le figure geometriche, la cupola, la volta, gli spazi ipogei, gli spazi ipostili, le scale…), è nella storia, è nell’immaginario moderno e contemporaneo (la scienza, il cinema, l’arte).
La realtà è composta di parti visibili e di parti invisibili, queste ultime solo immaginabili.
L’architettura collega queste due componenti della realtà: il soggetto, nel suo rapporto con il mondo, non può limitarsi alle parti oggettivamente visibili ma, necessariamente, deve entrare in contatto con la sua parte spirituale, invisibile, l’”aura” che circonda la realtà visibile delle cose.
La connessione fra la parte oggettiva (visibile) e quella spirituale (invisibile) è uno dei centri dell’Architettura.
La coscienza di questa centralità, di questo doppio livello di rapporto con la realtà, è la coscienza del non sapere, del non capire, della meraviglia di fronte all’inspiegabilità della realtà (la morte, il buio, l’eco, il futuro), è quella che rivela la zona “originaria” e “primitiva” di condivisione con il mondo esterno.
Alla base di questi pensieri sta l’idea che “l’uomo e il mondo sono fatti della stessa carne” (Merleau Ponty) (3) , e che questa carne, questi corpi dialoganti, hanno una coscienza percettiva condivisibile, che va oltre la oggettività della realtà, ma entra in contatto con la parte spirituale del mondo esterno. Questa coscienza è composta di un procedimento di “risalimento”, di “immaginazione” (Hillman), che permette questa condivisione del mondo e con il mondo nei suoi aspetti visibili e invisibili.
Allora il sentire ciò che non è logicamente né visibile nè comprensibile, diventa il “fare anima” che appartiene a un mondo simbolico, sensitivo, atavico, mitico; un “bagno nell’incertezza”, appartenente all’utilizzo di “immagini simboliche” e non di “deduzioni logiche e non contraddittorie.”
Il ricorso al simbolico, ai miti, agli archetipi, ha lo scopo di sottrarre la conoscenza e la percezione ai procedimenti deduttivi o “familiari” (sia nel senso di famiglia che nel senso di tradizione della Ragione Moderna) e di metterla sul tavolo, a disposizione di tutti, perché a tutti appartiene e in tutti alberga. I miti ci portano quindi a un’azione progettuale di condivisione, poiché questi miti, questi archetipi, stanno dentro ad ognuno, sono collettivi e profondi, infantili e primitivi.
(3) Le visible et l’invisible, Maurice Merleau-Ponty, texte établi par Claude Lefort, Paris, Éditions Gallimard
Gianluca Peluffo
Per 5+1AA SRL
aprile 2014-09-14